24 dicembre 2011

L'Amleto blucerchiato.

"Essere o non essere, ecco la questionese sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine. Morire, dormire… nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare."
Così parlava William Shakespeare - attraverso il personaggio di Amleto - nel suo famoso monologo facente parte della tragedia che prende il nome dal protagonista sopracitato. Certo, lungi da noi buttarci nella letteratura (non ne ho le facoltà), ma di certo si può cercare l'accostamento tra l'Amleto di Shakespeare e una sorta di Amleto blucerchiato che in queste ore si starà ponendo gli stessi dilemmi. Facile capire che parliamo di Angelo Palombo, 30 anni, da Ferentino, capitano di lungo corso nella storia blucerchiata, da dieci anni con la maglia doriana addosso e da quasi quattro condottiero della nostra ben amata. La domanda, più insistente fra tutte, che lui - ma anche noi - si starà ponendo è: "Restare o non restare, questo è il problema. Se sia più nobile soffrire le dichiarazioni di un direttore sportivo imprudente e poco rispettoso della mia storia in questa società oppure lottare, con tutte le mie forze, per rimanere fedele a questa bandiera. Rimanere, partire. Risalire, forse sognare."

Fatta questa parafrasi non certo impeccabile, possiamo concentrarci sul fatto che se ne sono dette tante sul numero 17 blucerchiato in questi mesi. Dopo la retrocessione ed il pianto davanti ai tifosi, era normale aspettarsi che la sua volontà fosse quella di rimanere, nonostante le voci di una partenza imminente e addirittura di una vendita il 31 Agosto alla Fiorentina per sette milioni e mezzo di euro, rifiutata dallo stesso Angelo. Segno di come la Sampdoria gli sia dentro, sia una parte di lui indelebile nel suo cuore. Poi, il rendimento durante questo campionato (come quello scorso, obiettivamente scadente per un buon giocatore come lui) ha reso tutto ancora più complicato, con la società molto decisa nell'incassare quel poco di soldi che la "carcassa" (chiaramente sportiva) di Palombo può portare nelle casse di questa società molto disorganizzata.

Chiaramente, per dare un'opinione a riguardo, bisogna lasciare da parte i sentimentalismi. Che Palombo sia - e sopratutto, rimarrà - un pezzo della Samp, non c'è dubbio. A confermarlo anche le dichiarazioni degli ultimi giorni, nelle quali sembra che il capitano ribadisca la sua volontà di rimanere alla Samp. E' indubbio che una partenza a Gennaio, dopo i buoni propositi di inizio anno di riportarci in A con il suo contributo, sembra di cattivo gusto; ma neanche si può pretendere che un uomo d'onore e rispettoso - come Palombo si è dimostrato in questi anni - voglia rimanere se è indesiderato dalla società. Parole come quelle di Riccardo Garrone (che, quando si tratta di cessioni, è sempre in prima linea: Garrone: "Palombo merita la Serie A") non lasciano spazio a molti dubbi. Viene da chiedersi perché la merita adesso e non a Giugno: forse perché si è capito che la A è molto lontana e si cerca d'incassare quei due spiccioli che possano riempire le casse languide della società?

Fare una valutazione su tutto questo è difficile, perché il cuore dei sampdoriani è contento - nonostante tutto quello che è successo quest'anno - di avere ancora una bandiera da sventolare. Molti club potranno avere risultati, soldi e grandi competizioni europee da giocare, ma non hanno un simbolo come il nostro. Totti alla Roma e Del Piero alla Juve potrebbero essere degli esempi. Ma ho sempre pensato che più in basso si scende, più grande è il rispetto per la bandiera che sventola. Facile per Del Piero restare alla Juve in B, sapendo che la A - con una squadra come quella che aveva la vecchia signora in B - era semi-assicurata. O facile per Totti rimanere a Roma, sapendo che sulla sua busta-paga c'è un contratto di 5 milioni d'euro l'anno ed un posto da dirigente. Un po' meno facile è quando la tua società è a pezzi, non c'è un futuro chiaro per i colori ai quali ti sei affezionato e tu stesso non ti senti più indispensabile come prima. E rispetto Palombo per questo, sopratutto come uomo. Ma sarei cieco a non fare anche un'analisi razionale su ciò che accade perlomeno in campo. Perciò, bando ai sentimentalismi e tentiamo di farla.

Da una parte, c'è il rendimento in campo del giocatore; dall'altro, il rispetto nei suoi confronti e le motivazioni che possono indurlo a rimanere o partire. Il giocatore vs. la bandiera, il professionista vs. l'uomo, la razionalità vs. l'irrazionalità. Una visione dualistica che non può essere che tale per i sampdoriani. Ma proviamo comunque a razionalizzarla.

Il rendimento sul campo di Palombo è in discesa negli ultimo anno e mezzo. Credo che questo sia sotto gli occhi di tutti. Personalmente, non condivido la tesi di chi addita i meriti del "Palombo regista" alla presenza di Cassano. Palombo diventa regista nel momento in cui Mazzarri - allenatore del 2007-2008, anno del sesto posto e di sessanta punti - realizza che Volpi non sia più indispensabile. Lo mette in panchina, trasforma Palombo in regista, Franceschini in un corridore instancabile dai piedi non sopraffini e Sammarco o Delvecchio negli incursori che devono sfruttare i corridoi aperti da Cassano e Bellucci. E' una scelta coraggiosa, che paga, perché l'Angelo blucerchiato, a 27 anni, era pronto al salto di qualità: diventa un regista di discreto livello, raggiunge la nazionale e nessuno lo stacca più da quel posto. Forse lì nasce una parte dei demeriti tecnici di Palombo: nessuno è stato in grado di metterlo in discussione. Non posso fare a meno di notare che quest'anno il solo Atzori, in due partite, lo ha messo in panca: è stato fatto giocare anche in condizioni precarie sia di forma che - sopratutto - di rendimento. Una buona gestione tecnica non fa queste cose: vedi Pirlo al Milan, messo coraggiosamente via da Allegri, ma capace di trovare alternative al neo-juventino.
Dopo la Champions League conquistata sotto Delneri, Palombo era all'apice del rendimento: lì nessuno è stato in grado di vedere, ma sopratutto di ammettere, che Angelo è un discreto regista, ma non è un Xabi Alonso, un Pirlo o - per metterla su livelli più normali - un Corini o un Volpi. E' un mediano adattato, fa il suo, ma non può tirare la carretta da solo: con la partenza di Cassano e Pazzini, questi demeriti si sono anche accentuati oltre i loro limiti, almeno in A. In B, invece, ci si aspettava che la sua esperienza gli permettesse di avere la meglio rispetto a centrocampisti dinamici, ma inesperti. Non è successo: chiaro che sia un'opinione personale, ma ho trovato Palombo da sufficienza solo in sette partite delle 18 che ha giocato. Voti, quindi valutazioni personali, vero.. ma non credo di andare molto distante dalla realtà.

Poi c'è il profilo del rispetto e delle motivazioni: Angelo è cresciuto con un rivale per il posto a centrocampo. Nella stagione della prima promozione in A, guadagnò il posto con grinta e grazie anche all'infortunio di Bolaño, che - venuto dal Parma - doveva essere il compagno di Volpi sulla mediana. Nelle stagioni successive, ha convinto Novellino, sconfiggendo - sportivamente parlando - i più blasonati Donati, Dalla Bona e Donadel. Tutti rimandati al Milan perché incapaci di soffiare il posto ad Angelo. Per lui, probabilmente, è stata una ricompensa ed un'iniezione di fiducia, tanto che è migliorato tecnicamente anche grazie a questa spinta emotiva. L'anno scorso qualcosa è cambiato: vedere una società così poco rispettosa di sé stessa deve aver spinto anche lui ad essere meno decisivo - almeno come rendimento - nel girare rotta. Ha rilasciato molte interviste e ci ha messo molte volte la faccia, anche quando forse non era necessario (sopratutto in questi primi quattro mesi di B).

Fatta quest'analisi, cosa si può dire? Dico prima la mia personalissima opinione: una partenza di Angelo mi dispiacerebbe moltissimo, perché rappresenta quel poco di sampdorianità che resiste in società. Però, se ben rimpiazzato da un regista serio e con una cessione remunerativa (in questo momento, più di 5-6 milioni non credo possa valere), ci potrei stare. Purché se ne parli a Giugno e a missione-promozione fallita. Perché farlo partire adesso non significa nulla. Per lui, che ha promesso di vivere quest'anno di B con noi, e per la società, che avrebbe ancor meno credibilità nei suoi prossimi proclami su eventuali programmi futuri. Io sono fortemente convinto che, per differenti ambizioni, le strade di Palombo e della Sampdoria si separeranno a breve. Ma spero solo che non sia ora. Perché resistere, adesso, è la cosa più importante. E forse, con investimenti mirati, non dico che ci sia la possibilità della A sicura (sapete come la penso, se avete letto qualche articolo precedente), ma almeno un riscatto che ci porti a dire, a fine stagione, che ce la siamo giocata come potevamo nella seconda parte di stagione e che, se Palombo rivuole la Serie A e la Samp non gliela può dare, è giusto allora che vada, al giusto prezzo.

Ma adesso, con tutto quello che è successo quest'anno, indicare Palombo come maggior problema della Samp in campo e cederlo sembra una mossa avventata e confusa. Chiaro che il suo stipendio da un milione e mezzo di euro l'anno deve essere motivato da prestazioni di gran lunga migliori. Ma pensate veramente che tolto Palombo, i problemi spariranno? Aspettiamo Gennaio e speriamo che la società sfrutti una qualità che non ha mai dimostrato in questo lungo e tremendo 2011: la lungimiranza.



Angelo Palombo, 30 anni, in azione l'anno scorso in Bari-Sampdoria.

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