«Ho sbagliato per
sbagliare, non perché lo dite voi.
E non mi pento proprio,
sono in riserva ormai
Io ci credo in quel che
voglio, e forse voglio farmi male
E non mi riconosco in
quello che conviene».
Almeno dal
punto di vista tecnico, è difficile trovare una possibile controindicazione a
questa visione. Il problema di Cassano è risieduto altrove, nell’incrollabile
immagine (e per molto tempo essenza) che l’ha inquadrato come l’esempio
paradigmatico del concetto di “genio e sregolatezza”. Un topos narrativo che
l’Italia ama molto: altrimenti non avremmo avuto i Beccalossi negli anni ’80 e
non si spiegherebbe perché i primi due gol di Balotelli a Nizza abbiano qualche
rilevanza.
Ma Cassano è
stato diverso: in direzione ostinata e contraria, fedele solo a sé stesso.
Tuttavia, anche quest’orientamento ha subito delle evoluzioni in 17 anni di
carriera: perché Cassano è comunque cambiato. Magari non in campo (o almeno non
così tanto), dove gli piace continuare a vederla a modo suo, con qualche rara
eccezione.
Non siamo i soli a
porci qualche domanda da sliding doors.
Cassano
sembra esser cambiato fuori. Rimane un testardo ai limiti dell’autolesionismo,
uno che avrebbe potuto avere un’altra parabola con la metà delle follie
combinate in carriera: non si è mai piegato a nulla, se non a una città sul
mare che non ha mai smesso di amare. Oggi, però, Cassano sembra un indiano solo
nella sua riserva prescelta, un deviato coerente nella sua logica, anarchico a
ogni costo, ma con i suoi riferimenti.
Sembra
passata una vita dal 2008, quando uscì il suo libro, scritto a quattro mani con
il giornalista Pierluigi Pardo: «Se quel Bari-Inter non ci
fosse stato, sarei diventato un rapinatore o uno scippatore, comunque un
delinquente. Molte persone che conosco sono state arruolate dai clan. Quella
partita e il mio talento mi hanno portato via dalla prospettiva di una vita di
merda. Ero povero, ma tengo a precisare che nella mia vita non ho mai lavorato
anche perché non so fare nulla. A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9
da miliardario me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare».
Visto che il
conto sembra ormai in pari (temporalmente e soprattutto economicamente), abbiamo
scelto dieci gol per raccontare uno dei talenti più cristallini e controversi
dell’intera storia del nostro calcio.
1. Bari-Inter 2-1, 18 dicembre 1999 – Serie
A 1999/2000
Due dettagli
vengono alla mente pensando a quella sera. Il primo è quello di Caressa, che in
telecronaca ci racconta che «abbiamo visto due grandi gol». Già, perché oltre
alla nascita di Cassano, ci sarebbe anche quella di Michael
"Hugo" Enyinnaya, compagno di primavera in quel di Bari e autore
di un’altra rete-monstre. Poteva essere il primo di tanti successi, invece sarà
la one-hit wonder del
nigeriano.
Il secondo riguarda
la vittima designata del Millennium Bug
del calcio italiano. A pochi giorni dall’inizio del nuovo millennio, il giovane
numero 18 del Bari segna il suo primo gol da professionista – e che gol! – alla
sua squadra del cuore, allenata in quel momento dall’allenatore che meno l’ha
apprezzato e che forse ha incarnato di più quei valori di regolarità da cui
Cassano è sempre fuggito.
Si intravedono
già alcuni colpi, soprattutto il marchio di fabbrica, quel controllo magnetico
che sfida le leggi della fisica (lo si nota anche qui e qui). Sembra quasi che Cassano
abbia capito meglio degli altri l’andazzo «Chi ben comincia è a metà dell’opera».
In questo tipo di gol, il suo stop gli fa guadagnare un tempo sull’avversario,
che è già in ritardo quando Cassano è pronto a eseguire il tiro.
Tuttavia, il
suo talento grezzo è da svezzare e l’apporto realizzativo è ancora basso (sei
gol in un anno e mezzo). Soprattutto il Bari è in una situazione complicata e
Cassano vive situazioni contrapposte nello stesso club: da una parte il
rapporto padre-figlio con Fascetti, dall’altra la poca intesa con la presidenza
Matarrese.
Nella
seconda stagione con i Galletti, le ultime partite neanche le gioca perché è
già della Roma. Nelle ultime dieci, il Bari ne perde nove e scende in B:
l’unico punto è nell’ultima presenza di Cassano col Bari. Per altro,
quest’ambiguità di rapporto è perdurata anche negli ultimi anni: persino da
svincolato, Cassano non è mai tornato a Bari, nonostante gli applausi per lui al
San Nicola non siano mai mancati.
2. Roma-Hellas Verona 3-2, 13 gennaio 2002
– Serie A 2001/02
L’arrivo
nella Capitale di Cassano è un terremoto a crescita graduale. Roma accoglie un
ragazzo pieno di eccessi, che dovrà inserirsi nella rigida disciplina di Fabio
Capello dopo un investimento pesante da parte dei Sensi (50 miliardi più metà
del cartellino di Gaetano D’Agostino). Il suo primo anno a Roma è di
apprendimento: i giallorossi hanno appena vinto il terzo scudetto con il
3-4-1-2 e ci sono alcune pedine insostituibili.
Nonostante
lo aspetti il primo anno di decadimento, non si può panchinare Batistuta dopo
il contributo per lo Scudetto dell’anno precedente. Non si può rinunciare
nemmeno a Marco Delvecchio, fondamentale per duttilità tattica e capacità di
sacrificio. Per non parlare di Francesco Totti, che ormai è conosciuto anche a
livello internazionale (5° nella classifica del Pallone d’Oro 2001: miglior
risultato personale di sempre).
Così Cassano
funge da dodicesimo uomo insieme a un gruppo ristretto di giocatori da
alternare ai titolarissimi (Montella, Marcos Assunção, Lima) e si guadagna
spazio lungo il corso della stagione. Continua a segnare poco, ma è normale:
non è facile mettersi in mostra quando su 30 partite giocate, 23 sono da
subentrante.
Il tutto
nonostante Cassano inizi a diffondere la sua fama non propriamente benefica
(per lui o per gli altri): litigi, comportamenti poco professionali o non
conformi all’ambiente, azioni fuori dalle righe. Tutto si comprime in un’unica
parola menzionata da Capello, che ha avuto persino il riconoscimento della
Treccani: “cassanata s. f. (scherz. iron.) Gesto, comportamento, trovata,
tipici del calciatore Antonio Cassano”.
Quando le
tue azioni diventano un neologismo, in ogni caso, puoi dire di aver lasciato un
segno. C’è anche un gradiente di queste cassanate da 1 a 10: il grado minimo è
lasciare il cellulare acceso a tavola nonostante Capello ti abbia detto di non
farlo. Un buon 8 sono le corna
all’arbitro Rosetti nella finale di Coppa Italia un anno più tardi. Per il
10 – inteso come massima unione di autolesionismo e conseguenze dannose – ci
sarà tempo.
3. Roma-Juventus, 1 dicembre 2002 – Serie A
2002/03
Quell’anno
deve esser stato utile anche per sviluppare e coltivare la miglior partnership vista nel calcio italiano degli
ultimi anni. Totti e Cassano non potrebbero esser più diversi dal punto di
vista caratteriale, ma nessuno dei due ha mai negato di essersi divertito con
l’altro sul campo. E l’apice di questo codice segreto tra i due, ma visibile a
tutti, è il gol alla Juve in una fredda serata del 2002.
Non è
calcio, ma telecinesi: è vero che Totti è sempre stato in grado di giocare con
un tempo d’anticipo rispetto ai suoi avversari, ma è anche vero che Cassano è
stato in grado di parlare la sua stessa lingua, nonostante doti diverse dal
punto di vista fisico e tattico.
In diversi
momenti della sua carriera, Cassano ha ribadito sempre come Totti sia stato il partner migliore. Il
desiderio di giocarci insieme una volta arrivato a Roma, la stima tecnica e
umana (Cassano ha vissuto da Totti per un periodo), poi un litigio dovuto alla
mancanza di rispetto del giovane barese e infine una sorta di indifferenza
perenne, nonostante la guasconeria di Cassano a ogni incontro tra i due.
I percorsi
tecnici dei due si intersecano al momento giusto: Totti segna 55 gol tra il
2002 e il 2005, germogliando dentro di sé quelle doti da prima punta letale che
poi Spalletti sfrutterà spostandolo nella posizione di falso nueve. Cassano, al contrario, è ancora mobile lungo tutto
l’arco del campo: non si piazza ancora sul vertice alto a sinistra dell’area di
rigore.
Capaci di
giocare simultaneamente da prima e seconda punta, i due diventano una coppia
esplosiva. E il gol alla Juve lo dimostra in pieno. Il 2002-03 è una stagione
tremenda per la Roma (intrappolata tra equivoci tecnici e risultati
altalenanti), ma per Cassano è il trampolino per responsabilità più importanti.
4. Polonia-Italia 3-1, 12 novembre 2003 – Amichevole
a Varsavia
A 34 anni e
dopo il suo primo Mondiale, possiamo dire che Cassano ha chiuso con la
nazionale. Un rapporto mai facile, spesso pieno di ombre e contrasti che non
l’hanno portato lontano. Ancora una volta, il rapporto con i rispettivi
allenatori è stato fondamentale.
Cassano è in
età da U-21 quando esordisce in nazionale maggiore, ma con Gentile le cose non
vanno bene. E allora Trapattoni lo chiama per un’amichevole in Polonia:
l’Italia perde 3-1, ma l’attaccante della Roma segna il suo primo gol
all’esordio assoluto in nazionale. Ed è una gemma esemplificativa del suo
repertorio.
Prima e soprattutto
dopo quella rete, tanti atteggiamenti e qualche ostracismo hanno impedito a
Cassano di fiorire in nazionale, nonostante a un certo punto il bacino di
talento si sia incredibilmente ristretto. Del suo bilancio in azzurro (39
presenze e dieci gol), rimane il contributo importante in tre diversi Europei
in cui ha avuto altrettanti allenatori (Trapattoni, Donadoni e Prandelli).
Ciò
nonostante, il rimpianto Mondiale è rimasto fino al 2014, quando Cassano si è
conquistato la convocazione alla sua prima Coppa del Mondo grazie alle magie
con il Parma. Forse è stato anche poco sopportato dai suoi compagni di squadra,
memori del passato e di alcune uscite mediatiche poco felici.
Nonostante
tutte le smentite di rito, Cassano si è probabilmente sentito più malvoluto che
amato dal suo paese. Troppo unico per essere capito, troppo bizzarro per esser
compreso fino in fondo, troppo bizzoso per esser assecondato a certi livelli.
Quel livello nel quale l’attitudine da “soldatino” – da lui tanto
rigettata – sarebbe servita.
5. Roma-Juventus 4-0, 8 febbraio 2004 – Serie
A 2003/04
Qualche mese
più tardi, lo stesso avversario della stagione precedente certifica l’upgrade definitivo di Cassano da
promessa a stella. O almeno così sembra. Non c’è dubbio che sia così dal punto
di vista tecnico: lo si vede nella cavalcata della Roma fino alla fine del
girone d’andata, quando la squadra di Capello domina il campionato prima di
perdere lo scontro diretto con il Milan e deragliare per il resto della
stagione.
In quella
gara Cassano fa quel che vuole. L’intesa con Totti è ai massimi livelli nel
4-4-2 di Capello; lui è cresciuto ancora tecnicamente e fisicamente e la Juve
nonostante Lippi non è in grado di tenere il passo delle due duellanti per il
titolo. Cassano chiude la gara con un bilancio di un rigore guadagnato e una
doppietta.
A colpire,
però, è il gol del 4-0. Sembra una rete facilissima – smarcato, solo, con
Buffon a rincorrerlo in porta – ma in realtà evidenzia un’altra dote di
Cassano: il colpo di testa.
Un punto di
forza che l’attaccante ha mostrato in diverse fasi della sua carriera, visto
che Cassano ha segnato tanti gol di testa (anche a Madrid, a Genova e a Milano). E non è proprio facile
colpire il pallone con quel poco angolo di torsione della testa, stando praticamente
fermi sul cross di Mancini. Ci vuole talento anche per questo.
Poi Cassano
ci dà la dimostrazione visiva di come “io sono più forte, ve lo faccio vedere e
me ne frego”: il 18 giallorosso rompe la bandierina, si prende un giallo
gratuito e ha una breve discussione con Collina. Ma soprattutto il 2003-04 è la
miglior stagione in A di Cassano dal punto di vista realizzativo (14 gol).
6. Levante-Real Madrid 1-4, 10 settembre 2006
– La Liga 2006/07
Dopo aver
messo la firma sul gol
più importante di un travagliato 2004/05 (quello che ha salvato la Roma a
Bergamo da guai peggiori), Cassano sente la necessità di andar via. La sente
anche la società, incapace di gestirlo da quando Capello è andato via. Al suo
posto si sono succeduti Rudi Völler, Delneri, Bruno Conti e Spalletti, ma
nessuno è riuscito a contenere il suo profilo sempre più ingombrante.
L’accordo
con la Roma scade nel giugno del 2006 e la società non vuol offrire una cifra
più alta rispetto ai 3,2 milioni già pattuiti. In più, la società decide di
togliere a Cassano i gradi di vice-capitano: una scelta che lo fa infuriare e
che cancella
qualunque possibilità di rinnovo, nonostante nel settembre del 2005 ci fosse
stato qualche
segnale di speranza.
Così arriva
il Real Madrid, che lo acquista per appena cinque milioni di euro. Ci sarebbero
Inter e Juventus, ma come ha detto Cassano in un’intervista ad AS qualche mese
fa: «Con tutti quei campioni, come potevo dire di no? La verità è che a Madrid
si possono seguire due vie: si può stare con la famiglia ed esser
professionali, ma se sei single non puoi essere concentrato. Con un contratto
di cinque anni alle spalle, sono stato uno stupido».
Forse aveva
conquistato il Real già nelle occasioni precedenti in cui la Roma ha affrontato
i Blancos in Champions (ben sei nel
giro di quattro anni), come quando Cassano segna al Bernabeu portando la Roma momentaneamente sul 2-0.
E l’avventura inizia anche bene: gol al Betis in coppa dopo esser entrato da
tre minuti, altra rete nel derby di Madrid. Però l’allenatore Juan Ramón López
Caro vorrebbe vederlo in una condizione migliore, non quella parodiata da
Carlos Latre, comico spagnolo.
Lo chiamano El Gordito (“Il grassottello”, per
distanziarlo da Ronaldo, anch’egli in condizioni non eccellenti), ma l’arrivo
di Capello nell’estate del 2006 sembra essere una benedizione. Nonostante gli
arrivi di van Nistelrooy e del giovane Higuain, Cassano trova spazio
all’inizio, segnando anche un gol contro il Levante.
A fine
ottobre, il Real lo mette fuori rosa: qualcuno pensa per l’imitazione di Capello da
parte dell’attaccante, ma in realtà Cassano ha confessato come 45’ di
riscaldamento a Jerez lo abbiano portato al litigio con Capello («Ma aveva
ragione lui»). Don Fabio vincerà la Liga e Cassano decide di lasciare Madrid.
Vuole tornare sul mare e c’è qualcuno che lo aspetta.
7. Palermo-Samp 0-2, 11 maggio 2008 – Serie
A 2007/08
La stagione
2007-08 di Antonio Cassano è la migliore della sua intera
carriera per topos narrativo (quella della rinascita: le opere prime sono
solitamente le migliori…) e il combinato di gol e assist (9+6, ma se
analizzassimo i passaggi chiave e i dribbling riusciti qualunque contenitore
statistico impazzirebbe). Un’annata notevole non tanto nelle cifre, bensì
pensando a dove Cassano era rimasto appena un anno prima.
La punizione
messa nel sette al Barbera – manco fossimo in modalità allenamento-sfida a Pro
Evolution Soccer – mette in evidenza un altro fondamentale straordinario nel
bagaglio tecnico di Cassano. Mi sono sempre chiesto perché al massimo del suo prime i creatori di videogiochi non gli
avessero dato un buon 95 nella precisione del tiro.
Più che la
precisione, ha sempre stupito la sua capacità di controllare la potenza da
dosare nel pallone. Cassano è capace di piazzare col piatto con fare da
giocatore pro di biliardo o sparare una bomba da 25-30 metri. Ha sempre
preferito la prima perché è l’esecuzione che più confà il suo gioco, ma
entrambe le strade sono sempre state percorribili.
Alla Samp ha
trovato il suo eden: il 2008-09 è la certificazione definitiva. 15 gol e 17
assist in una stagione che per il Doria sarà più di rimpianti che di gioie. Le
intemperanze non mancano
come al solito, ma a Genova le maglie sono più larghe: si è capito che con
Cassano si può andare lontano.
8. Samp-Palermo 1-1, 6 gennaio 2010 – Serie
A 2009/10
La Lanterna è
una purificazione: l’ambiente di Genova – che ha qualcosa della sua Bari, oltre
al mare – mette Cassano al riparo da molte distrazioni. Certo, «si può togliere
il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo» e quindi non tutto fila
tranquillo. Ma Cassano ha piena libertà da Mazzarri di stazionare sull’area
centro-sinistra del campo: da lì arrivano tanti assist e diversi gol, con due
stagioni consecutive in doppia cifra in A (10+12): mai successo prima e dopo la
parentesi genovese.
L’incontro
con Gigi Delneri – in arrivo al Doria dopo un ottimo biennio a Bergamo – ha un
che di particolare. Per due motivi: a) Delneri ha già incrociato Cassano e ha
fallito nel gestirlo a Roma; b) Delneri in un anno riesce a entrare in una
categoria a parte degli allenatori avuti da Cassano: quelli che hanno cambiato
la considerazione che il barese aveva di loro. E non solo a livello
caratteriale.
Quando
arriva nell’estate 2009, Delneri deve adattare il suo 4-4-2 alla coppia
d’attacco Cassano-Pazzini. A un certo punto, però, qualcosa s’inclina: Cassano
finisce fuori dai titolari per scelta
tecnica (sebbene si pensi a un litigio) e la sua cessione alla Fiorentina
sembra cosa fatta, ma tutto salta all’ultimo. La Samp naviga bene senza Cassano
e quando il 99 rientra, lui suggella una gara contro la Juve con un gol da 40 metri.
Il
campionato si concluderà con la qualificazione al preliminare di Champions
League e Cassano farà ammenda tecnica per la prima volta in vita sua: «Il
mister ha fatto le sue scelte e io le ho accettate a malincuore: quando sono
rientrato ho dimostrato di poter fare la differenza. All'inizio ero scettico
(sulla nuova posizione, più vicina alla porta, ndr), ma poi ci siamo capiti: abbiamo
fatto qualcosa di stratosferico».
Nel pieno
della sua maturità calcistica, al 28enne Cassano riesce praticamente tutto. Il simbolo di questa
completa e assoluta consapevolezza del suo talento è un gol che probabilmente
pochi ricorderanno: una rete al Palermo in uno scialbo 1-1.
Se Cassano
ha ormai massimizzato il controllo degli spazi (con alcuni passaggi filtranti
da “Assist 101”), qui
c’è tutto il talento di Cassano nell’utilizzare al massimo le sue risorse. Su
di lui c’è il giovane Kjær, a cui rende 15 centimetri. Ma il 99 blucerchiato si
avvicina quasi casualmente, sceglie la posizione giusta e usa quella forza
nascosta che ha nella parte bassa del corpo (baricentro e delle gambe
granitiche) per difendere la sua porzione di campo.
Il danese
tenta un salto scomposto, ormai in posizione di debolezza, e cerca un fallo per
un contatto troppo veniale. Nonostante Kjær, Cassano è riuscito a stoppare la
palla in maniera sufficientemente adeguata: viste le condizioni del contatto,
direi ottime. Punta la porta: vorrebbe la soluzione Pazzini, ma Bovo chiude
qualunque spazio e allora attende che Sirigu vada giù. Quando vede che anche
quest’opzione è preclusa, va con il colpo da biliardo già accennato in
precedenza.
Finalmente
Cassano ha tutto quello che vuole: un ambiente che lo idolatra in maniera
assoluta, un gruppo che lo sostiene, un contesto che lo valorizza al massimo
anche dal punto di vista tecnico. O almeno così sembra, fino a una mattina di
fine ottobre dove il grado 10 delle “cassanate” viene raggiunto per danni e
protagonisti.
9. Fiorentina-Inter 4-1, febbraio 2013 –
Serie A 2012/13
Tutto crolla
dopo una trasferta a Milano: la Samp ha strappato un punto contro l’Inter di
Benitez e ritorna a Bogliasco per allenarsi. Cassano dovrebbe ritirare un
premio a Sestri Levante, ma non vuole: scende in campo personalmente il
presidente Riccardo Garrone, ma la situazione degenera tra i due e Cassano gli
urla di tutto.
Il patron
blucerchiato, in un moto di dignità e con un filo di scelleratezza economica
(la Samp pagherà di tasca sua per mandarlo via), chiude a Cassano le porte
della prima squadra e chiude
all’arbitrato un’avventura di tre anni e mezzo. Quando si tratta di svincolati,
il Galliani
degli anni 2010 non perde tempo e si butta sul barese. Del resto, il Milan
è in corsa per lo Scudetto e un rinforzo del genere fa comodo.
Da lì la
carriera di Cassano è un roallercoaster
emozionale, voluto dal giocatore per disfarsi continuamente dei fantasmi
passati in vista di lidi più felici, salvo scoprire che tanto idilliaci non
sono. Milano è il set di una sceneggiatura che inizia con un proclama tanto
esagerato quanto destinato a rivelarsi falso: «Sono sicuro che qui sarà la mia
ultima tappa: sopra il Milan c’è il cielo. È l’ultima occasione: se
sbaglio, sono da manicomio».
Le cose
procedono bene per un anno: Allegri gestisce Cassano, lo alterna con Pato,
Robinho e Ibrahimovic. Lo stesso svedese si scomoda in qualche carezza mediatica: «Tevez?
Mi manca Cassano, non Tevez. Con lui diventa tutto più facile: gioca da seconda
punta e riesce a darti il pallone da posizione impossibile». La partenza col
botto del 2011-12 (sette assist e tre gol) viene bloccata però da un problema
al cuore.
Ci vogliono
un’operazione e sei mesi di recupero per tornare in campo, giusto in tempo per
conquistarsi la “10” dell’Italia a Euro 2012, dove Cassano forma un coppia
bella e maledetta con Balotelli. Ma qualcosa in casa Milan non va: a sorpresa
arriva uno scambio tutto milanese, con Pazzini in rossonero e Cassano
all’Inter. A posteriori, una trattativa che non ha giovato a nessuno.
Altra
presentazione, altro round
di scuse (oltre al solito
cielo): «Ho detto che se sbagliavo, sarei stato da manicomio, ma non ho
sbagliato io… non c’entrano giocatori o allenatori, ma qualcuno più in alto. Non
voglio dire neanche il nome (Galliani, ndr): devo ringraziare i tifosi e
l’ambiente, ma lui no». Con il contratto in scadenza nel giugno 2014, il barese
avrebbe voluto un rinnovo mai arrivato.
I primi tre
mesi dell’Inter 2012-13 sono da sogno: la squadra vola, mostra un calcio divertente
(più grazie ai suoi fuoriclasse che per una vera struttura di gioco) e si
toglie lo sfizio di violare lo Juventus Stadium per 3-1. Lì c’è l’apice di
Stramaccioni all’Inter, con il sogno che perde vigore nel girone di ritorno: un
disastro da 19 punti in altrettante partite, che valgono il nono posto finale.
Il rapporto
tra tecnico e Cassano – inizialmente ottimo, come dimostra una parodia dello stesso
allenatore – si rovina verso marzo, complice un diverbio quasi finito alle
mani. Il tentativo di
ridimensionare quanto uscito dallo spogliatoio di Appiano Gentile è forse
peggiore anche della lite in sé, ma l’unica notizia buona per Cassano è che non
ha (ancora) perso il meglio del suo repertorio.
Prendiamo
questo gol contro la Fiorentina: dicevamo sopra del Cassano da biliardo, ma qui
l’attaccante tira fuori una discreta legnata dalla distanza in una partita
ormai chiusa, ma utile per ricordarci come le possibilità di Cassano siano più
di quelle che sembrano ormai conosciute.
Nonostante i
ponti rasi al suolo a Milano e un’operazione al cuore, il 99 ha comunque
collezionato un’altra annata da 15 assist in tutte le competizioni: è il
segnale che l’attaccante può ancora esser utile, se saprà tenere a bada certi
comportamenti e sarà inserito in un contesto a lui congeniale. E la chance
arriva.
10. Chievo-Parma, 21 settembre 2014 – Serie
A 2014/15
L’ultimo
Cassano di alto livello si è visto in gialloblu. Stanco della Milano che non lo
capisce (e forse le due società meneghine lo erano altrettanto di lui), Cassano
fugge nella tranquilla Parma. Una piazza che per molti tratti – tra cui storia
e ambiente – si può associare alla Samp, nonché per un gemellaggio che dura da
molti anni.
Saranno solo
delle coincidenze, ma Cassano torna quello visto a Genova. I suoi movimenti
sono cambiati e avere 31 anni non è come averne 25, ma al Tardini incanta.
Cambia anche un filo il suo modo di giocare, con FantAntonio più vicino alla porta e meno sul centro-sinistra: forse
Cassano ha compreso che non ha più la stessa resistenza atletica di un tempo e
deve adattarsi.
Il 2013-14 è
un anno magico: il Parma finisce in Europa League (salvo poi vedersela revocare
per la mancata licenza), Cassano segna 12 gol (di cui tre al Milan) e si
guadagna il primo Mondiale della sua vita. Molto è dovuto anche al legame con
Donadoni, uno degli allenatori che ha saputo gestire meglio il talento di Bari
Vecchia.
Dopo
l’estate, tutto è cambiato. Le ultime due annate di Cassano sono state grigie,
quasi incolori: i primi gol con il Parma, la decisione di lasciare il capoluogo
emiliano di fronte alla confusione societaria, i sei mesi di stop, la voglia di
tornare nella Genova blucerchiata prima stoppata e poi accettata. In realtà, il
ritorno alla Samp è una manovra di Ferrero per recuperare
credito dopo una precoce eliminazione in Europa League.
I contrasti
con Zenga non hanno giovato: in fondo, l’Uomo
Ragno non ha mai veramente voluto Cassano. Con Montella c’è stato qualche guizzo, ma si è
visto come l’inattività forzata avesse condizionato la forma del 99, incapace
degli scatti e delle accelerazioni di Parma. E così siamo arrivati all’epilogo
finale, forse il più triste.
Titoli di coda
A oggi, Antonio
Cassano è un giocatore della Samp solo pro-forma. La società ha fatto rimuovere
la sua foto dal sito ufficiale e Ferrero sperava di potersi liberare di un asset usato prima come inganno mediatico
per i tifosi e poi ostacolo da rimuovere. Il tutto è nato dopo l’ultimo derby,
quando Cassano ha avuto un’accesa
discussione con Antonio Romei (braccio destro di Ferrero, seppur assente
nell’organigramma della società).
La società
forse sperava nella possibilità di liberarsi facilmente di un 34enne con
velleità di campo, ma Cassano è cambiato. Anche personalmente. Una volta
avrebbe combinato una delle sue e se ne sarebbe andato. Oggi no. Intendiamoci,
fa sempre di testa sua, ma in questa vicenda si è comportato in maniera diversa
dal solito.
Un comportamento
intravisto già
a Parma, quando ha optato per la rescissione del suo contratto con questa
motivazione: «Ci sto rimettendo quattro milioni di stipendio, ma non sono i soldi
il problema. Non lo sono per me: la cosa brutta è che ci sono persone che
guadagnano molto meno e non prendono un euro da sette mesi».
Invece di
accettare una delle tante proposte arrivate sul suo tavolo durante quest’estate
– Palermo, Pescara, Cina, Emirati, persino un posto
da dirigente in blucerchiato – Cassano è rimasto coscientemente
a Genova, anche con la prospettiva di rimanere fuori squadra. Il nuovo
allenatore Giampaolo ha dato il benestare alla sua uscita, ma FantAntonio non la pensa alla stessa
maniera: sembra disposto a rimanere a Bogliasco anche solo per allenarsi
(almeno secondo quanto
riferito dalla moglie, una sorta di social media manager del 99).
Non più di
qualche mese fa, a febbraio, Cassano la pensava così: «Se sto bene, gioco altri
due anni. Se invece non fossi in condizione o non mi divertissi più, lascio
perdere». In mezzo però c’è la Samp, l’unico club che forse ha realmente amato
nella sua vita. E una voglia di vivere a modo suo che non va mai via, anche
quando non gli conviene.
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